Ugo Foscolo

Questo brano de I sepolcri, in cui viene descritto il devastante effetto di un'epidemia di influenza e che fortunatamente il Foscolo stesso giudicò indegno di far parte del carme, fu trovato fra le minute del poeta dopo la sua morte.

E quanto spesso, o Ippolito(1), vedemmo
de' pianeti l'invidïosa influenza
l'arma allegrare alla falcata parca(2)
ed incitare a disfrenata corsa
suo selvaggio destriero. Nell'orrore
de' notturni silenzi, lungo ne' campi
il roco grido allor della ghignante
megera risonava e la famiglia
dei miseri mortali si stringeva
gemendo di terror nel proprio albergo.
Oh, quanti inermi pargoli le labbra
di nettare materno ancor stillanti
rapì l'adunca falce e nella fossa
cullò l'eterno sonno orrida madre!
quante sospinse giovani leggiadre
di domestiche gioie ancora ignare
al limitar di Dite ornate spose!
Ma sopratutto udivi, o Pindemonte,
rombar di febbre le canute tempie
e gli spossati petti de' vegliardi
cupi ansimar dal madido giaciglio
chiedendo in uno morte e pace quando
le voraci di sangue suggitrici
e le calide ampolle ormai dismesse(3)
d'Esculapio il discepolo leggendo
nella cànnula vitrea la mercurea
sentenza(4), volto a' parenti in lacrime
e agli eredi, funereo decretava:
"Entro sera costui s'en va a puttane!"(5)

(1) Ippolito Pindemonte al quale I seplocri sono dedicati.
(2) Ossia "vedemmo... affilare la falce alla morte". Falcata parca è libertà poetica: l'immagine della morte come figura scheletrica armata di falce è di molto posteriore al mondo classico, al quale invece appartiene la figura della parca.
(3) Ossia: ormai messe da parte le voraci suggitrici di sangue e le calide ampolle, le sanguisughe e le ampolle calde, ciò è a dire gli strumenti del salasso, in quanto ormai inutili.
(4) II medico (d'Esculapio il discepolo) leggendo sul termometro (la cànnula vitrea) la temperatura del malato (la mercurea sentenza) segnata appunto dalla colonnina di mercurio...
(5) Nel manoscritto l'ultimo verso, certamente di tono assai lontano da quello aulico del resto del carme, è scritto con grafia affrettata come se il poeta, a questo punto, avesse già deciso di scartare il brano e fosse impaziente di farlo. Sinceramente non sappiamo dargli torto.